IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Emette  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento di sorveglianza
 relativo alla concessione di differimento  pena  all'udienza  del  15
 dicembre  1992  premesso  che il detenuto Nigito Salvatore nato il 16
 settembre 1955 a Raddusa (CT), domiciliato in Collegno  (TO),  piazza
 Neruda,  n.  7, in espiazione pene mesi cinque reclusione inflittegli
 con sentenza 30 maggio 1992 pretore Torino difeso dall'avv.  di  uff.
 Rossomando del foro di Torino;
    Visto il parere favorevole del p.g.;
    Visti gli atti del procecimento di sorveglianza sopra specificato;
    Verificata,  preliminarmente,  la  regolarita' delle comunicazioni
 relative  ai  prescritti   avvisi   al   rappresentante   del   p.m.,
 all'interessato ed al difensore;
    Considerate  le  risultanze  delle documentazioni acquisite, delle
 investigazioni e degli accertamenti svolti, della trattazione e della
 discussione di cui a separato processo verbale;
                             O S S E R V A
    Rilevato che Nigito Salvatore ha avanzato istanza di  differimento
 dell'esecuzione  della pena, rientrando nella previsione dell'art. n.
 146 del codice penale, cosi' come modificato  dal  recente  d.l.  12
 novembre 1992, n. 491;
      che  tale  intervento  legislativo  ha  ampliato  l'ambito della
 disciplina  del  rinvio  obbligatorio  dell'esecuzione  della   pena,
 inserendovi il seguente principio: "Nel primo comma dell'art. 146 del
 codice  penale  e'  aggiunto il seguente numero: La esecuzione di una
 pena, che non sia pecuniaria, e' differita: se deve  aver  luogo  nei
 confronti  di  persona  affetta  da  infezione  da  HIV  nel  casi di
 incompatibilita' con lo stato di detenzione ai sensi  dell'art.  286-
 bis, primo comma, del codice di procedura penale";
      che il sopracitato art. 286- bis del c.p.p., definisce in questi
 termini i casi di incompatibilita' con lo statuts detentionis.
    "L'incompatibilita'  sussiste,  ed  e' dichiarata dal giudice, nei
 casi di Aids conclamata o di grave deficenza immunitaria";
    Rilevato che ne risulta sconvolto il preesistente  assetto  voluto
 dal  legislatore del 1930 che, mediante il ricorso allo strumento del
 "rinvio facoltativo"  (art.  147  del  c.p.),  consentiva  all'organo
 giurisdizionale  competente  di valutare caso per caso, eventualmente
 con il supporto di idonea perizia medica, la concreta  necessita'  di
 differire  l'esecuzione  della sanzione penale, evitando di incorrere
 in apodittiche generalizzazioni.
    Tale  sistema  normativo,  che  tutelava lo specifico interesse di
 tutti i malati (ivi compresigli affetti da H.I.V.) che si  trovassero
 "in  condizioni  di  grave  infermita'  fisica"  (art. 147, n. 2, del
 c.p.), appariva conforme alla lettera ed  allo  spirito  del  dettato
 costituzionale,  come  riaffermato  dalla  Corte  di cassazione nella
 pronuncia n. 2136 del 7 maggio 1991.
    Integrale rispetto trovava il principio secondo cui "La Repubblica
 riconosce e  garantisce  i  diritti  inviolabili  dell'uomo"  di  cui
 all'art.  2  della  Carta  costituzionale,  assicurando  comunque una
 generale tutela penale ai soggetti titolari degli  interesse  lesi  o
 minacciati dalle fattispecie criminose commesse - o commissibili - da
 autori  trovantesi  nelle condizioni enumerate nell'art. 286- bis del
 c.p.p., esigenza che poteva venir variamente compressa o  addirittura
 sacrificata solo allorquando collidesse con diversi princi'pi di pari
 rilevanza e dignita', di volta in volta individuati in concreto dagli
 organi giurisdizionali.
    Piana  osservanza si garantiva inoltre al principio di uguaglianza
 di tutti i cittadini  di  fronte  alla  legge  senza  distinzione  di
 condizioni personali (art. 3), e cio' sotto un triplice profilo:
       a)  ribadendo  come  le  pene  inflitte  dai  competenti organi
 giurisdizionali debbano essere eseguite nei confronti di tutti coloro
 che le hanno riportate, con esclusione di categorie di  "intoccabili"
 aprioristicamente stabilite;
       b)  evitando  differenziazioni tra i soggetti affetti da H.I.V.
 e/o Aids conclamata e coloro che sono preda di infezioni  e  malattie
 dal  medesimo  esito  infausto ai quali, pur in presenza degli stessi
 presupposti anche in merito ai tempi di evoluzione della patologia in
 atto, non e' estesa questa piu' favorevole disciplina;
       c) salvaduardando una uniformita' di trattamento  tra  titolare
 dell'interesse  protetto  e  autore  del  fatto  di  reato affetto da
 infezione da H.I.V. con la mancata previsione di un estratto "diniego
 di tutela" del primo causa le particolari condizioni del secondo,  al
 di fuori di uno specifico accertamento da parte dell'autorita' a cio'
 preposta.
    Neppure potevano dirsi violati i basilari princi'pi secondo cui le
 pene  non  possono  consistere  in  trattamenti  contrari al senso di
 umanita'  (art.  27)  e  la  salute  e'   un   diritto   fondamentale
 dell'individuo (art. 32) dal momento che, qualora il soggetto potesse
 giovarsi,   in   liberta',  di  cure  e  terapie  indispensabili  non
 praticabili in stato di detenzione -  neppure  mediante  ricovero  in
 ospedali civili od in altri luoghi esterni di cura ai sensi dell'art.
 11  dell'o.p.  -  ovvero,  ancora,  a  cagione  della  gravita' delle
 condizioni, l'espiazione della pena di appalesasse in  contrasto  con
 il   senso   di  umanita',  soccorreva  sempre  l'istituto  del  c.d.
 differimento facoltativo  (art.  147  del  c.p.)  che  permetteva  di
 ovviare tempestivamente a tali situazioni abnormi;
    Rilevato che l'innovazione legislativa del d.l. 12 novembre 1992,
 n.  431,  inserendo  questa  nuova  ed  autonoma  ipotesi  di  rinvio
 obbligatorio in aggiunta alla  originaria  previsione  limitata  alla
 donna incinta o che abbia partorito da meno di sei mesi (art. 146 del
 c.p.  nn.  1  e  2),  ha  di  fatto mescolato situazioni radicalmente
 distanti  fra  loro,  l'una  connotata  da  una  rinuncia  definitiva
 all'applicazione  della  sanzione  penale,  le  altre incidenti sulla
 pretesa  punitiva  solo  in  termini  di  momentanea sospensione, per
 fatti, quali la gravidanza o la nascita di un bambino da meno di  sei
 mesi, che non sono a tutta evidenza "una grave infermita' fisica";
    Rilevato  che  e'  stata in tal modo introdotta per i soggetti che
 versano nelle condizioni di cui all'art. 286- bis, primo  comma,  del
 c.c.p.  (in  quanto  richiamato  dall'art.  146,  n. 3, del c.p.) una
 ingiustificata - a parere di questo tribunale - clausola di immunita'
 penale, una sorta di astratta previsione di non  assoggettabilita'  a
 sanzione,   spogliando  una  specifica  categoria  di  persone  della
 soggettivita' attiva penale;
    Rilevato che l'attuale sistema normativo sembra presentare aspetti
 di incostituzionalita', contrariamente a quanto sopraevidenziato  con
 riferimento alla pregressa disciplina.
    Il   dibattuto  d.l.  n.  431/1992  pare  innanzitutto  porsi  in
 contrasto con l'art. 2 della costituzione, laddove viene  a  smentire
 l'assunto   di  una  generalizzata  tutela  dei  diritti  inviolabili
 dell'uomo,  quantomeno  nei  confronti  di  coloro  i  cui  interessi
 risultino  aggrediti  da  chi  trovasi nelle condizioni descritte dal
 decreto stesso, che si vedono privati di efficace  tutela  penale  in
 assenza   dello   strumento  che  ne  assicura  la  necessaria  forza
 intimidatrice.
    Piu' evidente si  manifesta  il  contrasto  con  il  principio  di
 uguaglianza sancito dall'art. 3 della nostra Carta costituzionale.
    Irragionevole   appare  la  discriminazione  dei  malati  "comuni"
 rispetto agli affetti da H.I.V. (in particolare ove si  rifletta  che
 la  scienza  medica  riscontra  i  medesimi  caratteri  di  gravita',
 irreversibilita' ed ingravescenza - tipici della patologia da  H.I.V.
 -  anche nella maggior parte delle malattie di tipo neoplastico ed in
 alcune  forme  patologiche  di  tipo  cronico,   come   la   malattia
 diabetica).
    Del pari ingiustificata la creazione di una categoria di individui
 sottratta  (nel senso sopravisto) al generale assioma per cui le pene
 inflitte vanno eseguite nei confronti di tutti coloro  che  le  hanno
 riportate,  nonche'  il  fatto che nella comparazione fra l'interesse
 del soggetto leso e quello dell'autore di  reato  affetto  da  H.I.V.
 debba  sempre  soggiacere  il  primo,  indipendentemente  da una piu'
 approfondita analisi del caso di specie;
    Rilevato che il nuovo orientamento normativo non puo'  dirsi  piu'
 aderente al dato costituzionale neppure sotto il profilo del rispetto
 degli artt. 27, terzo comma, e 32, primo comma, poiche' l'esito della
 esperienza  medico-scientifica  in materia rivela come l'infezione da
 H.I.V. presenti  caratteri  di  estrema  dinamicita'  e  varieta'  di
 situazioni,  in  rapporto  alle  quali  va  concretamente provato che
 l'applicazione della pena leda il fondamentale diritto alla salute  o
 si   risolva  in  un  trattamento  contrario  al  senso  di  umanita'
 (prescindendo dai casi in  cui  la  cessazione  delle  cure  e  della
 assistenza   comunque   assicurate   dalle  strutture  carcerarie  si
 tradurra' in danno di quei soggetti che si vogliono invece favorire).
    Con ben diversa puntualita' la problematica sovraesposta era stata
 recepita nella circolare n.  3370/5770  del  Ministero  di  grazia  e
 giustizia del 25 luglio 1991 - avente appunto per oggetto "I detenuti
 affetti  da  sindrome  da  H.I.V."  -  dove, dato atto della notevole
 variabilita' ed incostanza del  quadro  clinico  delle  infezioni  da
 H.I.V.,  si  rimandava al giudizio degli organi competenti, investiti
 del  "difficile compito di valutare, nei singoli casi, la sussistenza
 delle condizioni che consentono il permanere del soggetto in ambiente
 carcerario o che ne consigliano il trasferimento presso il  domicilio
 o in una struttura esterna";
    Rilevato   pertanto   che   la   invocata  disciplina  del  rinvio
 obbligatorio della pena per gli affetti da H.I.V. e/o Aids conclamata
 - come modificata a seguito  dell'entrata  in  vigore  del  d.l.  12
 novembre  1992, n. 431 - appare inficiata dal vizio di illegittimita'
 costituzionale;